La sarta milanese che ha inventato il Made in Italy

Dalle montagne dell’alta Valtellina alle lotte per l’emancipazione femminile, fino ad entrare di diritto nell’Olimpo della moda. Di umili origini (primogenita di ben diciotto tra fratelli e sorelle), partita giovanissima da una piccola cittadina ai piedi delle Alpi (Tirano), Rosa Genoni ebbe una vita a dir poco straordinaria, unendo l’amore per la bellezza all’impegno per la pace e per il riscatto dei lavoratori.

La sua gavetta nel mondo delle sartorie milanesi comincia a soli sette anni come “piscinina”, ma ben presto la Genoni dimostra di avere una marcia in più: frequenta le scuole serali e poi si inscrive ad un corso di francese, la cui conoscenza è indispensabile perché, nella moda, la Francia detta legge. E proprio la capitale francese segnerà la vita di Rosa che, fin dagli esordi, cercherà di affrancarsi dallo stile parigino per trovare ispirazione nel grande patrimonio artistico e decorativo italiano. Arte e bellezza, quindi, non senza dimenticare le condizioni delle mestieranti delle sartorie, sfruttate e sottopagate.

Avvicinatasi ai circoli socialisti, il suo impegno sociale non sfugge ai dirigenti del Partito Operaio Italiano, che nel 1884 le propongono di recarsi a Parigi per partecipare ad un Convegno internazionale sulle condizioni dei lavoratori.

Tornata a Milano, dal 1893 la troviamo impegnata per il miglioramento delle condizioni delle lavoratrici: entra a far parte della “Lega Promotrice degli Interessi femminili” e poi si avvicina alle posizioni di Anna Kuliscioff, di cui sosterrà le battaglie per l’emancipazione delle donne lavoratrici e per la tutela dei minori. È in questo periodo che Rosa viene assunta dalla rinomata “Maison H. Haartdt et Fils”, allora principale casa di moda milanese con filiali a Sanremo, Lucerna e St. Moritz, in un palazzotto di cinque piani con duecento dipendenti. Qui ricoprirà il ruolo di premiere e poi quello di direttrice, dando inizio ad una vera rivoluzione dello stile, affrancandosi da quello parigino e creando una moda autoctona, basata sull’arte decorativa italiana e sui costumi regionale.

Le sue creazioni, ispirate alle opere dei pittori rinascimentali italiani, conoscono il successo e meritano il Grand Prix della Giuria alla Esposizione Internazionale di Milano del 1906. Due di queste creazioni, il celebre abito da ballo ispirato a “Flora” dalla Primavera di Botticelli e il Manto di Corte tratto da un disegno del Pisanello, sono stati donati dalla figlia Fanny Podreider alla Galleria del Costume a Palazzo Pitti a Firenze e lì tuttora esposti.

In quei giorni Rosa Genoni rilascia un’intervista alla giornalista Paola Lombroso pubblicata su “Il Piccolo della sera” del 5 dicembre 1906, dichiarando:

… s’era già visto che cosa potesse produrre il lavoro manuale e singolarmente il lavoro femminile, in Italia anche nei piccoli paesi. La Cooperativa dei lavori femminili, sorta da pochi anni, ha scoperto e messo in commercio merletti, pizzi, ricami, assolutamente meravigliosi, che sono debitamente vantati sul mercato come Made in Italy! Se delle povere contadine, delle montanare hanno tanto gusto da trovare da sé spontaneamente tante varie e gentili, e classiche combinazioni di tinte, di punti e linee, che cosa non potrebbe fare una maestra di taglio, a cui si facessero conoscere tutte le cose che vengono in aiuto al buon gusto naturale: stoffe, guarnizioni, modelli, incisioni?

Colpisce l’uso precoce della locuzione Made in Italy in un’accezione che indica produzioni altamente specializzate, dal forte radicamento territoriale, in una commistione di moda e protodesign. Prende forma un embrionale sistema, o meglio viene allo scoperto: i merletti delle IFI (Industrie Femminili Italiane) non vanno più esportati all’estero di nascosto per tornare come francesi e Rosa Genoni non deve essere più costretta a nascondere i suoi abiti sotto l’etichetta parigina.


Scelta per i suoi meriti dalla Società Umanitaria, Rosa Genoni nel 1905 organizza la Scuola Professionale Femminile, dove tiene lezioni serali di Storia del costume e dirige la sezione di sartoria, biancheria e modisteria fino al 1930, anno in cui si dimetterà per non giurare fedeltà al fascismo. Sempre per incarico dell’Umanitaria Rosa Genoni visiterà le migliori scuole professionali europee (tra cui Parigi, Berlino e Amsterdam), ne studierà i programmi, perfezionando i suoi corsi professionali, per essere sempre all’avanguardia.

Nel 1908 partecipa a Roma al Primo Congresso delle Donne Italiane esprimendo in un lungo intervento molto apprezzato la necessità dell'affrancamento dalla Moda Francese. Auspica la nascita e lo sviluppo di una Moda Italiana con l'affermazione sempre più rilevante, sia dal punto di vista artistico che economico, dell’alto potenziale dell'artigianato italiano.

Grazie al suo impegno nel 1909 nasce il primo comitato promotore per una “Moda di Pura Arte Italiana”, presieduto da Giuseppe Visconti di Modrone e patrocinato da Franca Florio, dalla principessa Odescalchi e dalla duchessa Giulia Melzi d’Eril; mentre l’anno seguente promuove dalle pagine di “Vita d’Arte” il “Concorso Nazionale per un Abito Femminile da Sera”.

Indossano i suoi modelli attrici famose come Lyda Borelli e Dina Galli, nobildonne come la Principessa Letizia di Savoia Duchessa d'Aosta, la baronessa Maria di Liebenberg, Luisa Casati Stampa, Carla Erba, Eleonora Duse, Javotte Bocconi e molte altre e le veste con entusiasmo affinché siano testimoni illustri della Nuova Moda Italiana.

L’ex sartina di Tirano entra così di diritto nell’Olimpo della moda; autorevoli testate internazionali (da Le Figaro all’edizione francese del New York Herald), parlano di lei e dei suoi modelli. Inizia a collaborare alla stampa femminile emancipazionista, soprattutto dopo il 1911, quando nasce “La Difesa delle lavoratrici” il giornale della Kuliscioff, per il quale scrive numerosi articoli.

Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è sostenitrice della Neutralità e promuove la pubblicazione del periodico “Per la guerra o per la pace” ed è la fondatrice e presidente dell’Associazione “Pro Umanità”. Partecipa, unica italiana tra 1136 donne al Congresso Internazionale Femminile dell’Aja (1915) facendo parte di una delegazione ristretta incaricata di promuovere la pace, ed è chiamata a dirigere la sezione milanese della WILPF, responsabilità che terrà sino al 1922. Rosa è collaboratrice assidua delle riviste il “Marzocco”, “Vita femminile”, “Vita d’arte” e “Lidel”.

Dopo l’avvento della dittatura fascista lavora ad una “Storia della moda attraverso i secoli” in tre volumi di cui, nel 1925, esce però solo il primo tomo. Nel 1928 regolarizza la sua unione sposandosi con l’avvocato Podreider ed inaugura con suo marito un laboratorio di cucito, un asilo nido e successivamente un ambulatorio ginecologico per le detenute di San Vittore in memoria della di lui madre deceduta Carolina Podreider.

Nel 1932 si trasferiscono a San Remo dove lui morirà nel ‘36, Rosa fa coltivare un terreno seguendo la metodica Biodinamica di Steiner precorrendo di decenni l'interesse per le colture biologiche.

Nel 1936 rimane vedova e quattro anni dopo si trasferisce a Varese nella villa che il marito aveva comprato per sua madre. Del 1948 è ancora una sua appassionata lettera al conte Bernadotte, mediatore dell’ONU per la questione palestinese, dove auspica la pace tra arabi ed ebrei.

Muore a Varese i 12 agosto 1954.